Riflessioni sul nuovo reato di omicidio stradale: la nuova normativa

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La necessità di attenzione mediatica verso il fenomeno delle c.d. “vittime della strada”, ha da poco tempo trovato una risposta ferma del Governo, tramite l’introduzione del reato di “omicidio stradale”. Tale novità normativa dovrebbe, al dire dei promotori, diminuire il numero sconfortante delle morti a causa di incidenti stradali e dare, in generale, una risposta forte su un fenomeno che, negli anni, è cresciuto, trasformandosi in un vero e proprio allarme sociale. Eppure, la riforma non è esente da critiche sotto vari aspetti, da quello squisitamente giuridico, ad altre di tipo sociale. La delicatezza dell’argomento, comunque, solleva ben più di qualche spunto di riflessione.

Originariamente il nostro codice penale puniva l’eventuale soggetto colpevole di aver cagionato un incidente stradale, con conseguente morte di una persona coinvolta – a vario titolo – nello stesso, con due reati specifici: “omicidio doloso”, ex art. 575 c.p., ipotesi più grave, e l’omicidio colposo, ex art. 589 c.p., ipotesi più lieve.

Escludendo già da subito l’eventualità di un delitto commesso con coscienza e volontà diretta da parte dell’agente (ipotesi di c.d. dolo diretto), che costituisce – fortunatamente – un’ipotesi estremamente rara, il discernimento tra le due ipotesi delittuose succitate derivava dal “tenore” della responsabilità del conducente del veicolo.

L’autore, infatti, rispondeva del reato più grave nel caso in cui il fatto fosse stato commesso con parziale coscienza e volontà, nell’ipotesi del c.d. “dolo eventuale”, ovvero accettando scientemente il pericolo che si realizzasse l’evento dannoso, pur non volendolo direttamente; rispondeva dell’ipotesi meno grave in caso di c.d. “colpa cosciente”, ovvero nel caso in cui il soggetto si realizzasse l’astratta possibilità di avvenimento dell’evento dannoso, pur respingendone il rischio (confidando, per esempio, nel proprie capacità di controllo del mezzo).

La disciplina previgente, però, considerando la difficoltà di dimostrare la sussistenza del dolo eventuale nella stragrande maggioranza dei casi di incidenti stradali con vittime, finiva spesso per soppesare la fattispecie delittuosa nell’ambito della tutela del 589 c.p, con pene che – oscillando da un minimo di due anni, a un massimo di dieci (nei casi in cui ricorrano le aggravanti specifiche), consentiva spesso riduzioni di pena e condanne troppo “leggere” per i presunti responsabili (quantomeno secondo l’opinione pubblica).

Va detto che, comunque, nel tempo il legislatore si è preoccupato di intervenire in riforma del codice penale anche a sostegno delle necessità di porre un freno al fenomeno degli incidenti mortali. In tal senso deve intendersi la Legge 125/2008 che introdusse, nei reati 589 c.p. e 590 c.p., aggravamenti di pena in caso di violazioni di norme del Codice della Strada e di commissione del fatto da parte di soggetti in stato di ebrezza o sotto effetto di sostanze stupefacenti. Quanto detto, però, evidentemente non è bastato.

La risposta del Governo

La risposta del Governo che ne è seguita, è derivata all’esito di un travaglio legislativo e politico che è durato anni, con progetti e tentativi di riforma della disciplina che si sono susseguiti nel tempo, lasciandosi un cumulo di polemiche e disegni di legge scartati.

Lo scorso marzo, però, sono stati introdotti i seguenti nuovi articoli del codice penale: 589 bis c.p. (reato di omicidio stradale), 589 ter c.p. (reato di fuga del conducente in caso di omicidio stradale), 590 bis c.p. (reato di lesioni stradali personali gravi o gravissime), 590 ter c.p. (reato di fuga del conducente in caso di lesioni personali stradali), 590 quater c.p. (computo delle circostanze).

Preliminarmente va detto che il Codice Penale non può ridursi a un mero elenco normativo di fattispecie di reato, in cui il compito del Giudice è solo quello di ravvisare l’ipotesi più “somigliante” a quelle previste dalla normativa. Il Codice Penale è un corpus unicum, un complesso sistema di fattispecie, circostanze e normative che si completano e compenetrano a vicenda, rapportandosi – peraltro – alle previsione altrettanto rilevanti del Codice di Procedura Penale, che assolve al colpito non facile di attuare le norme del Codice Penale.

Dunque, un insieme di regole e istituti che si reggono le une alle altre, rispondendo a precisi principi costituzionali, quali – tra gli altri – la presunzione di innocenza, il favor rei e la rieducazione del reo.

Pertanto, l’introduzione di una fattispecie di reato nuova, del tutto avulsa dal contesto preesistente (peraltro presuntivamente non creata da soggetti operanti nel diritto penale) rischia di non uniformarsi alle regole del sistema stesso e di dar vita a ipotesi assurde e/o paradossali.

In primis, si valuti la circostanza che le nuove fattispecie di reato prevedono una responsabilità a titolo di colpa e non di dolo.

Questa particolarità, che si giustifica nella predetta necessità di uniformare la fattispecie di reato alle condotte che più probabilmente (e statisticamente) si verificano in concreto, suona sin da subito in contrasto con la gravità delle pene previste.

In tal senso, l’impatto mediatico che ha suscitato la risposta del Governo viene controbilanciata da una risposta che – in concreto – si rivela poco funzionale col sistema codicistico penale nel complesso. Giova, quindi, sicuramente all’esecutivo una risposta pronta che, però, prescinde dal fatto che la stessa sia funzionale o meno.

Nel prossimo articolo analizzeremo in dettaglio le criticità della normativa.

(Studio Alboreto, 5 novembre 2016, di Gianstefano Romanelli)

Photo: ODD ANDERSEN/AFP/Getty Images

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