Scarcerazione e “caso Riina”. Analisi tecnica della decisione della Cassazione

Una recente pronuncia della Corte di Cassazione ha suscitato un ingiustificato clamore circa la supposta eventualità di una scarcerazione del noto “boss” di “Cosa Nostra” Salvatore Riina. Un’analisi tecnica del provvedimento è in grado di delimitare l’ambito in cui si è espressa la Suprema Corte e a quali concrete conseguenze possa portare detta decisione.

La pronuncia della Cassazione

Definiamo preliminarmente le ragioni della pronuncia, nonché il suo significato.

Con ordinanza del 20/05/2016, il Tribunale di Sorveglianza di Bologna si pronunciava sulla richiesta dei legali di Riina di esecuzione della pena nelle forme della detenzione domiciliare. A fondamento della richiesta si sosteneva la precarietà delle condizioni di salute del condannato. Avverso tale decisione si proponeva ricorso per Cassazione, ritenendosi contraddittoria e manifestamente illogica la motivazione. La Cassazione, dunque, con Sentenza n. 27766/17 del 22/03/17 (dep. il 05/06/17), riteneva fondati i motivi del ricorso. La Corte, infatti, affermava la contraddittorietà della decisione e annullava l’ordinanza del Tribunale di Sorveglianza di Bologna, imponendo a quest’ultima di pronunciarsi nuovamente sulla decisione. Tale circostanza, dunque, non implica alcuna scarcerazione immediata del condannato, ma solo una nuova decisione del Tribunale sull’istanza avanzata nei suoi interessi.

La dignità del condannato

Si legge nella pronuncia, a pagina 7: “Il tribunale, secondo questo Collegio, ha errato nel ritenere che le deficienze strutturali del luogo di restrizione non siano rilevanti ai fini del decidere sull’istanza del ricorrente avente ad oggetto ad oggetto proprio l’esecuzione della pena in luogo diverso, ed ha errato altresì, nel non rinviare la propria decisione all’esito di un accertamento volto a verificare, in concreto, se e quanto la mancanza di un letto che permetta ad un soggetto molto anziano e gravemente malato, non dotato di autonomia di movimento, di assumere una diversa posizione, incida sul superamento o meno di quel livello di dignità dell’esistenza che anche in carcere deve essere assicurato. Solo all’esito di tale accertamento il Tribunale avrebbe potuto deliberare, con cognizione di causa, sulla compatibilità, in concreto, della struttura carceraria con le condizioni di salute del ricorrente, fornendo, se del caso, indivazioni per il trasferimento del detenuto presso altra struttura.”

Sostiene la Cassazione, dunque, che il Tribunale di Sorveglianza ha deciso senza accertarsi se, in concreto, un letto idoneo alle condizioni di salute del condannato incida sul superamento del livello di dignità che va assicurato in carcere a chiunque, posto che solo grazie a tale verifica avrebbe potuto sostenere la compatibilità del carcere con la malattia di Riina (e non prima).

La pericolosità del condannato

Si legge, poi: “Il provvedimento del Tribunale di sorveglianza, infine, è carente di motivazione sotto il profilo dell’attualizzazione della valutazione sulla pericolosità del soggetto, tali da configurare quelle eccezionali esigenze che impongono l’inderogabilità della esecuzione della pena.
Si osserva in merito che, ferma restando l’altissima pericolosità del detenuto e del suo indiscusso spessore criminale, il provvedimento non chiarisce, con motivazione adeguata, come tale pericolosità possa e debba considerarsi attuale in considerazione della sopravvenuta precarietà delle condizioni di salute e del più generale stato di decadimento fisico dello stesso. Ritiene in merito il Collegio che le eccezionali condizioni di pericolosità debbano essere basate su precisi argomenti di fatti, rapportati all’attuale capacità del soggetto di compiere, nonostante lo stato di decozione in cui versa, azioni idonee in concreto ad integrare il pericolo di recidivanza.”

Precisa dunque il Collegio che, ferma restando l’altissima pericolosità del detenutoil Tribunale di Sorveglianza avrebbe dovuto adeguatamente motivare come tale pericolosità sia ancora da considerarsi sussistente nonostante le sue precarie condizioni di salute e il generale decadimento fisico. Ciò in ragione del fatto che ogni assunto, ancorché del tutto presupposto e apodittico, vada adeguatamente sostenuto da ragioni concrete, basate su fatti specifici e dati effettivi.

Osservazioni

In merito, non si può certo criticare la Cassazione per aver ritenuto che ogni decisione, anche se relativa alla ipotetica “scarcerazione” (leggi: sostituzione della pena con detenzione domiciliare) di un condannato come Riina, vada motivata in maniera adeguata, né di aver considerato – anche solo in astratto – che il diritto a una “vita / morte” dignitosa” non possa essere comunque, anche in questo caso, bilanciato con la supposta pericolosità del condannato (e, quindi, col diritto dello Stato a mantenerne invariata la pena nonostante la malattia).

Le argomentazioni contrarie, relative alla morte dignitosa negata alle vittime di Riina, poi, possono ritenersi proprie di un’analisi atecnica della vicenda. Allo stesso modo in cui non si possono mettere in discussione le opinioni di un medico sui vaccini senza adeguati studi a sostegno delle ragioni opposte, non si può ritenere che un giurista basi le proprie motivazioni sul mero senso morale, anziché sulle proprie cognizioni tecniche. Il parere popolare, di cui la rete è ormai fervida espressione, è da ritenersi – per quanto legittimo – meramente “laico”. Non tecnico, quindi.

Qualunque operatore del diritto sa bene che il sistema penitenziario dello Stato Italiano non ragiona in termini di punizione, né di vendetta. Per dirla breve: lo Stato non pesa la natura delle proprie sanzioni in ragione delle “colpe” del condannato, ma ne tutela sempre e comunque la riabilitazione, il reinserimento sociale, nonché la vita. Di fatto, anche un condannato come Salvatore Riina può aver diritto a una vita dignitosa, purché si bilanci tale diritto con la pericolosità in concreto, nonché il ruolo ancora ricoperto nella compagine criminosa di riferimento. D’altronde, il senso stesso dello Stato di diritto è proprio quello di tutelare i diritti anche dei soggetti che più ne hanno dimostrato disprezzo. 

Conclusioni

In tal senso, illuminanti sono le dichiarazioni del Procuratore nazionale Antimafia che ha commentato la vicenda sottolineando semplicemente come si sia perfettamente in grado di dimostrare l’attualità del pericolo costituito dal succitato condannato. Raggiungere la prova sul punto, dunque, consentirà al Tribunale di integrare la decisione secondo le indicazioni fornite dalla Corte di Cassazione, scongiurando qualsiasi ipotesi di “modifica” nel regime carcerario applicato a Riina.

Per dirla meglio: la decisione della Cassazione non fa altro che accendere il riflettore sulla necessità di una più circostanziata motivazione nel caso concreto, in quanto sia dimostrato il pericolo che ancora costituisce la figura di Riina, nonché la necessità che lo stesso permanga nel regime carcerario attuale nonostante le sue precarie condizioni di salute.

Ogni ulteriore argomentazione, invece, non è semplicemente afferente alla discussione tecnica sul punto.

Fonti:

https://www.davidpuente.it/blog/2017/06/06/la-cassazione-apre-alla-scarcerazione-di-toto-riina-ma-anche-no-ecco-la-sentenza.html
http://www.ansa.it/sito/notizie/cronaca/2017/06/05/cassazione-riina-e-malato-ha-diritto-ad-una-morte-dignitosa_3d834f5f-9867-49ae-bfd1-fe76575e720f.html

Immagine: Ansa.it

(Studio Alboreto. Nota di Gianstefano Romanelli)