Diffamazione su facebook: l’ingiuria corre sul filo (virtuale)

Tema di grande attualità sono le “liti” sul web e, in particolar modo, quelle derivanti dall’uso spesso inappropriato del mezzo telematico.
È indubbia l’importanza che sta assumendo il web – e, in particolar modo, i c.d. “social network” – nella vita quotidiana di ogni cittadino. La diffusione derivante dal mezzo telematico, però, ci si può ritorcere facilmente contro. Infatti, non solo è plausibile che determinate condotte penalmente rilevanti possano venir commesse attraverso piattaforme virtuali, quali “facebook” o simili, ma in determinati casi la stessa natura di tali strumenti può aggravare la fattispecie di reato astrattamente contestabile.

Com’è noto, il reato di diffamazione – disciplinato dall’art. 595 c.p. – punisce la condotta di chi ingiuri l’onore e il decoro di una persona, comunicando con più persone (e non in presenza dell’offeso). La stessa fattispecie di reato, poi, è aggravata dalla circostanza di cui al comma 3 dello stesso art. 595 c.p., il quale prevede un aumento di pena tutti quei casi in cui detta condotta venga posta in essere a mezzo di stampa o con strumenti atti a conferire “pubblicità” alla comunicazione, fino alla diffamazione commessa a mezzo di atto pubblico.
Prendendo le mosse dalla disciplina in astratto, è evidente la rilevanza che possa assumere uno strumento quale “facebook”. La grande diffusione del mezzo tra tutti i livelli della società, nonché la capacità insita allo stesso di raggiungere decine di persone in poco tempo, rende evidentemente idoneo lo stesso a consentire la commissione del reato ex art. 595, comma 3, c.p., laddove il materiale “diffuso” implichi, in qualche modo, un pensiero o un ragionamento che ingiurioso dell’onore e il decoro di terzi.
Da ciò ne deriva che questi strumenti vadano utilizzati con responsabilità e senso civico, allo stesso modo con cui si utilizzano gli strumenti di stampa ordinari.
La Cassazione, naturalmente, non è rimasta intoccata dal fenomeno dei “social network”, essendosi ormai pronunciata già diverse volte sull’argomento. Prendiamo due pronunce come esempio.

Il social network come mezzo di pubblicità

Con la Sentenza n. 50, del  02/12/2016, n. 50, la Sezione I della Corte di Cassazione, ribadiva il già noto principio secondo cui l’uso del mezzo telematico, equiparabile a popolari social network quale “facebook”, integri l’aggravante ex art. 595, comma 3 c.p.

Nel pronunciarsi in merito in merito alla dichiarazione di incompetenza sollevata dal Giudice di Pace di Penne (PE), il quale si riteneva non competente in merito al succitato reato di diffamazione, ritenendolo aggravato dal mezzo utilizzato, la Corte di Cassazione – sulla scia di diverse pronunce precedenti – confermava la competenza del Tribunale di Pescara, cui trasmetteva gli atti.

Nel ribadire quanto sopra, la Cassazione chiariva, appunto, l’idoneità della condotta diffamatoria, commessa tramite “facebook”, di integrare l’aggravante di cui al succitato comma 3 dell’art. 595 c.p., poiché potenzialmente capace di raggiungere un numero indeterminato o comunque quantitativamente apprezzabile di persone. Infatti, la ratio insita all’aggravante dell’uso di un mezzo di pubblicità, nel reato di diffamazione, trova fondamento proprio sulla capacità del mezzo utilizzato di coinvolgere e raggiungere una vasta platea di soggetti, ampliando la capacità diffusiva del messaggio lesivo della reputazione della persona offesa.
Come ciò si verifichi è ormai divenuto di comune esperienza: il messaggio diffuso attraverso le bacheche dei social network, può potenzialmente essere consultato da un numero indeterminato di persone, secondo la logica e la funzione propria dello strumento di comunicazione e condivisione telematica, che è quella di incentivare la frequentazione della bacheca da parte degli utenti, allargandone il numero a uno spettro di persone sempre più esteso, attratte dal relativo effetto socializzante.

Facebook non è inquadrabile nel mezzo di stampa

Contrariamente a quanto ritenuto, però, e prescindendo dalle valutazione sopra riportate in riferimento alla “pubblicità” insita nel mezzo telematico, “facebook” non può comunque essere equiparato al mezzo di stampa, nell’accezione comunemente intesa negli anni precedenti.

A chiarirla è la Corte di Cassazione, in una diversa e molto più recente pronuncia, ovvero la n. 4873 del 14/11/2016 (pubblicata il 2 febbraio u.s. su Diritto & Giustizia 2017). Benché la condotta diffamatoria via facebook sicuramente sia aggravata dal mezzo di pubblicità, infatti, la stessa non è comunque equiparabile al mezzo di stampa. Da ciò deriva la non trascurabile conseguenza dell’impossibilità di contestare l’aggravante specifica ex art. 13 L. 47/1948, la quale prevede un sensibile aumento di pena per la diffamazione commessa a mezzo stampa che si configuri con l’attribuzione di un fatto specifico.
In ragione di ciò, la decisione – che pur appare in contrasto con altra giurisprudenza precedente (anche delle Sezioni Unite) – ha come come primo effetto la contestazione di un reato di cui alla pena massima di tre anni, anziché sei, ma anche una “variazione” del percorso processuale dell’imputazione, sottoposta alla citazione diretta a giudizio (ex art. 550 c.p.p.), anziché al rito ordinario (che prevede il passaggio dall’Giudice dell’udienza preliminare).
Preme constatare, al netto di quanto sopra esposto, la difficoltà della giurisprudenza di legittimità di inquadrare con esattezza tali nuove condotte di reato entro lo schema delle regole vigenti. Non può che auspicarsi, quindi, un intervento repentino del legislatore che riequilibri e ridefinisca la disciplina codicistica a quella che è – di fatto – la nuova frontiera della comunicazione tra i cittadini.

Fonti: http://www.ilsole24ore.com/art/norme-e-tributi/2017-02-02/diffamazione-attenuata-se-via-fb–103347.shtml?uuid=AEA07QM&refresh_ce=1
Immagine: Maurizio Crozza, comico, e il suo personaggio “Napalm51”.

(Studio Alboreto. Nota di Gianstefano Romanelli)